domenica 22 febbraio 2009

Morbosamente Lei.......

Non è stata progettata da ingegneri con manìe esoteriche, poi uccisi perchè non divulgassero chissà quale segreto geometrico;

La sua lega non appartiene alle cosidette nobili, ma che tali sono per denominazione e non per comprovata attitudine;

Non è stata assemblata in tutto segreto in una regione remota e segreta della Siberia Artica;

Chi l'ha verniciata non l'ha fatto in camere sottovuoto, sotto zero, sotto copertura e sotto protezione.

Lei è, o meglio era, soltanto una vecchia bici da corsa regalatami da un cliente che la teneva, abbandonata e disastratamente malmessa, appesa nel suo garage.

Giorni di apnee nel WD 40 al telaio per dissuadere movimento, serie sterzo e reggisella, dalla loro lotta contro l'abbandono del telaio; 
interventi con flessibile, lima e carta vetrata per azzerare le escrescenze dei supporti cambio all'obliquo e del forcellino; 
aerosol di borotalco e paste abrasive dall'amico spazzolatore per render lucenti le parti conservabili; 
ricerche in rete per ridarle ciò che la ruggine ha rapito per sempre, e farle capire quanto ora fosse tornata a suscitar emozioni.

Lo meritava poichè dietro quel "Bertoglio" - già riverniciato in "Tanfoglio" - ho sentito da subito fuoriuscire vibrazioni che mi eccitavano e turbavano. 

Tanto - veramente tanto - lavoro, passione e ricerca, fino a farla diventare ciò che ora Lei è - e sarà - per me e per tutti:

L'Erotica

Mai nome avrebbe potuto esser più adatto.

Desidero prima di tutto ringraziare il "Copy" dell'occasione, Spiedo al secolo Stefano, che durante un'occasionale colloquio degenerato in un micro brainstorming, ha estratto dal suo incantevole ed inesauribile cilindro neurocelebrale, ciò che da ora contraddistingue una "signora" che mai riuscirà a passare inosservata.

Cosa dite? Il suo nome, ed il font dello stesso, richiamano e ricordano (parlar di plagio è sconveniente......) il nome di una famosa corsa ciclistica tra gli sterrati dei colli toscani? Pura coincidenza, non si badi a certe inezie.

Qui si parla della quint'essenza del ciclismo allo stato puro; L'Erotica ammalia, ipnotizza come una Circe dotata di moto, riuscendo a trasmettere emozioni al primo contatto.

Eppure, qualcuno dirà, alla vista non rapisce né sconvolge; come può quindi con i suoi tenui colori, le sue semplici forme, la sua totale (ma apparente) "morbidità", provocare l'animo del ciclista distratto?

Le sue armi di seduzione sono invisibili; infatti L'Erotica non si comporta come quelle puttanelle da quattro soldi, tutte latex e gatto a 9 code, delle copertine di "Cuoio e Frusta"; il suo agir è meno diretto, ma più profondo e carnale.

Le basta poco: come un'isolata sirena, nel suo vociar singolo, incanta l'Ulisse pedalatore che - al contrario di quel dell'Odissea - non potendo resister si fa trascinare in un turbinìo di sensazioni indescrivibili ai superficiali.

Spiegare meglio, utilizzando luoghi comuni in una trasposizione antropomorfa, è possibile: v'è un modo di dire tra gli uomini (...sì, anche tra le donne, prima che qualche femminista depressa e paranoica si inalberi....), atto ad indicare una femmina che all'apparenza mostra poca carica sessuale, quasi una sorta di amorfità innanzi al richiamo dell'Eros: gatta morta.

Ecco, L'Erotica - se fosse donna - sarebbe una gatta morta; un felino che dorme, ma che se svegliata estrae gli artigli, rapisce, graffia e tatua per sempre.

E come tale essa si comporta sempre, pur conservando un'aspetto casto, irreprensibile ed integerrimo.

Basta però veramente poco per scoprire tutte le doti e le armi provocatrici (e perverse) che essa nasconde........anche in senso lato.

Dimenticavo, stavo parlando di una bicicletta.

Haltahö - Catahà





mercoledì 18 febbraio 2009

Haltahö educational: Non di solo Haltahö vive l'uomo



Appare più che chiaro come sia indispensabile la comunicazione, soprattutto con l'avvento della tecnologia multimediale.

Il sapersi relazionare, perciò, assume un ruolo di centrale importanza; nella società tutta, soretta da meccanismi di continui scambi di informazioni, opinioni, richieste ed ordini (politica, lavoro, affetti, ecc....), e nella formazione personale di ogni individuo, sia per il livello proprio culturale, che interpersonale e psicorelazionale. 

"Comunico, quindi esisto", potrebbe essere il motto del millennio che ci accompagnerà lentamente verso la nostra metamorfosi di concime per lombrichi.

Ma come comunicare al meglio?

Come riuscire a risultare comprensivi ed esaurienti in tempi nei quali la velocità del dialogo viene misurata in MB di connessione?

Possibile quindi che il nostro messaggio, quale che esso sia, venga recepito e appreso come comprensibile da terzi, che - al ritmo accelerato nel quale viviamo anche verbalmente - aspettano soltanto la fine del tuo discorso per iniziarne a loro volta un altro?

Non solo "sentito", ma anche "ascoltato", questo è l'obiettivo per una comunicazione degna di esser tale.

Ma per fortuna, in tempi nei quali l'Abbecedario è stato sostituito dalla QWERTY, dove ormai anche i dialoghi sono in multitasking, ci viene incontro - e in soccorso - il dialetto bresciano.

Come? Un'idioma quasi perso? Ormai relegato nella remota provincia, perso tra calici di pirlo e giri di briscolone in un A.C.L.I.?

Ebbene sì, il Brehà come rivoluzione linguistica moderna.

Haltahö, ormai si sa, è un termine che non significa soltanto "sali!"(terza persona singolare del verbo salire, n.d.r.); esso è anche un'esortazione, una specie di molla che da la carica, a volte, per alcuni, un mantra.

Vi è però un'altra esclamazione ben più completa che rivoluziona qualsiasi metodo di relazione; una frase breve e concisa che, per le sue molteplici declinazioni, racchiude un'infinità di significati e quindi di possibilità di utilizzo.

Qual'è questa frase?

Presto detto: cata sà (pron: kàta_ssà)

Quella sopra riportata è l'espressione pura dialettale, per così dire "cittadina".

Nella più gergale e profonda cultura essa ha però un'altra forma, da me preferita in quanto valligiano e cultore del dialetto provinciale (nello specifico lumezzanese):

Cata hà; oppure, meglio ancora, catahà (qui al posto della "s" c'è la "h" aspirata, tipica della pronuncia valgobbina, e in parte anche triumplina).

Ma cosa significa questo catahà?

Letteralmente la sua traduzione significa: cata (raccogli, porta), e (qua). Quindi: porta qui; raccogli qua; raccogli; procura xxx.

"Catahà l'enhalvia che gò de 'nfilhà ol hpiet"
"Procura (prendi, porta qua) la salvia che devo infilzare lo spiedo"

In sostanza - e nell'uso comune - non la si trova quasi mai in questo tipo di dialoghi, ma in tutt'altri, e per i quali non si ha una vera traduzione; infatti può essere utilizzata per migliaia di composizioni, compresa ovviamente quella propria e sopra specificata, che anche se nativa è però la meno usata.

Questo perchè nel dialetto bresciano, come in altre lingue, vi sono forme intraducibili se prese letteralmente e scorporate da determinati contesti, ma che pronunciate con la debita tonalità assumono di volta in volta un significato compiuto e ben definito.

Veniamo a degli esempi pratici di questo universale catahà.

Importanti, importantissimi, l'intonazione, il contesto, e la punteggiatura (anche verbale, mi raccomando), comprese le sospensioni e le pause.

n.b. Per rendere comprensibili i dialoghi, essi verranno riportati in italiano

Primo esempio:
"Ehi, Giàni! Andiamo a bere un bicchiere di spuma dal Tunì (Antonino)?
"Dai, catahà, che non ho tempo e devo lavorare"
In questo determinato contesto la forma catahà significa: 
non tirare in mezzo complicazioni e non distrarmi che sono impegnato.

Altro esempio.
"Non riesco a scendere da questo sentiero, ho paura!"
"Catahà...............fosse la prima volta che lo fai......."
Qui invece assume un tono di esortazione per il timoroso biker, nello specifico: 
non accampare scuse che sei capace di scendere  da lì.............e svegliati che fa notte nel bosco (e ricordo a tutti: senza luci non si vede un cazzo...)

Terzo esempio.
"Gino, aspetta un momento che finisco la mia Alfa senza filtro, salgo sulla tua Simca 1000 e poi partiamo"
"Giuanì, catahà che sono già le 8!!!!!!"
Questa invece, come appare chiaro, vuole specificare il disagio di Gino che essendo tutt'altro che in anticipo vuol far capire al fumatore di Alfa (Giovanni) che l'ora è tarda; quindi il catahà in questo caso è come dire:
svegliati cazzo!!!

Quarto esempio.
"Albino, andiamo al "Bulli e Pupe" Venerdì?"
"Catahà Bèpi! Lo sai che non mi piacciono i nait"
In  questo particolare contesto, l'Albino (nome proprio n.d.r.) esprime dissenso per l'intenzione di Giuseppe; il quale, in preda ad una tempesta ormonale, vorrebbe coinvolgere l'integerrimo Alby in un'esperienza a lui non molto gradita; in questo caso il catahà significa:
lascia perdere, sono cose che non mi interessano.

Quinto esempio.
"Gino, ti hanno visto con una rumena al nait ieri!!!"
"Non è vero, sono stato a giocare a ramino fino alle 2 dal Tunì!"
"Dai Gino...........catahà che hanno visto tutti la tua Simca fuori dal "Bulli"  all'una!!!"
Il povero Gino è stato smascherato, ma cerca di negare l'evidenza; gli amici (o bastardi?) vogliono fargli capire che ha ben poco da nascondere, perciò il catahà assume una forma accusatoria/rivelatoria, quasi a dire: 
smetti di fingere, non serve a nulla, sappiamo tutto.


Incredibile vero?
Sì, certo, ma il catahà è anche tantissime altre cose; è la soluzione di mille problemi, ed imparare ad utilizzarlo risolve moltissime lacune nelle relazioni interpersonali.

Non abbreviare, storpiare o "tinovizzare" (da T9, n.d.r.), ma riuscire ad esprimersi con concetti chiari e facilmente comprensibili per mezzo di un termine bresciano che con la sua versatilità semplifica, spiega e coniuga decine e decine di concetti.

Quindi:
Catahà!
Haltahö!

E a chi crede alla totale serietà* del post dico: Catahà! Dove vivi? 
La traduzione, in questo caso, la lascio al malcapitato come compito.

(*) Per serietà viene inteso il (finto, malriuscito) tono culturale e da professore (inutilmente) assunto per introdurre l'argomento; quest'ultimo invece più che mai serio e sensato.